La mappa marmorea di Roma del III sec d.C sovrapposta a quella del Nolli del 1748
Centocinquanta lastre per un totale di 18×13 metri
L’avevamo anticipato nel mese di giugno in copertina rinviando a questo numero l’approfondimento sul nuovo Museo della Forma Urbis inaugurato il 12 gennaio al Parco Archeologico del Celio.
Ci troviamo nel settore settentrionale del colle, dietro al Colosseo, dove in antichità sorgeva il tempio del Divo Claudio.
All’interno dell’edificio dell’ex palestra della Gil (Gioventù Italiana del Littorio) è allestito il nuovo Museo, con i frammenti rimasti della Forma Urbis Severiana.
Si trattava di una grande pianta dell’Urbe del III secolo d.C., incisa tra il 203 e 211 sotto l’imperatore Settimio Severo su 150 lastre di marmo, per una dimensione totale di 18×13 metri.
Su una superficie di quasi 235 mq erano rappresentati circa 13.550.000 mq di città antica attraverso sottili incisioni che raffiguravano le planimetrie degli edifici di Roma, a una scala media di circa 1:240.
Originariamente era collocata, tramite perni di ferro sulla parete di una delle aule del Tempio della Pace (o Foro della Pace) ai Fori Imperiali, poi inglobata nella chiesa di SS. Cosmo e Damiano.
Oggi ancora si vedono i fori dove erano infisse le lastre.
La funzione probabilmente era quella di propaganda e di celebrazione del potere, fornendo all’osservatore una visione generale della città e dei suoi monumenti.
Pochi frammenti sulla pianta del Nolli
Purtroppo dopo la scoperta del 1562 e la lunga permanenza a Palazzo Farnese (fino al 1742) molti frammenti andarono perduti, alcuni riutilizzati per i lavori del Giardino Farnese sul Tevere, e oggi ne resta soltanto un decimo.
Entrò a far parte delle collezioni dei Musei Capitolini dal 1742, l’ultima esposizione complessiva degli originali si ebbe tra il 1903 e il 1924 nel giardino del Palazzo dei Conservatori. Fino al 1939 alcuni nuclei significativi sono stati visibili nell’Antiquarium del Celio. Solamente circa 200 frammenti sono stati identificati e idealmente collocati sulla topografia moderna.
Oggi, i frammenti rimanenti tornano visibili dopo un secolo con il nuovo museo al Celio.
L’allestimento permette una piena fruizione della pianta, di facile leggibilità, grazie alla collocazione sotto un pavimento in vetro.
I frammenti spiccano illuminati sovrapposti alla Pianta di Giovanni Battista Nolli del 1748 come base planimetrica (foto sopra), una delle migliori fonti per la comprensione della città: questa infatti fu la prima mappa accurata di Roma, che mostra come la città delimitata dalle mura Aureliane nel ‘700 era costituita da ruderi, strade, piazze, spazi pubblici, ville, campagne, monasteri, e l’abitato urbano nel Campo Marzio.
Cosa rappresentava la Forma Urbis?
Sono disegnate in dettaglio le planimetrie di tutti gli edifici presenti nel III secolo d.C., monumenti e non.
Vediamo quindi linee sottili e segni che formano insulae, domus, horrea, templi, basiliche, terme, colonne, scale, portici, acquedotti, archi, fontane, tabernae (nel Museo un pannello mostra una legenda di tutti i segni).
Più ricca è la zona meridionale, con il Portico di Livia, il Teatro Marcello, il Circo Flaminio, ma anche frammenti dell’Anfiteatro Flavio e del vicino Ludus Magnus, del Circo Massimo, della Basilica Ulpia nel Foro di Traiano (foto in basso).
Grazie a questa pianta, sono state possibili la collocazione e l’identificazione anche di edifici di cui non era rimasta traccia archeologica, come ad esempio al Campo Marzio i Saepta Iulia (antichi recinti per le votazioni), e il Diribitorium (dove venivano contati i voti lasciati nell’adiacente Saepta) oppure l’identificazione dei resti ad est di Largo Argentina con la Porticus Minucia (ved. numero di marzo).
Altri frammenti, invece, di cui non è ancora certa la collocazione, sono esposti su un pannello a parete.
Giardino archeologico tra colonne e capitelli
All’esterno del Museo, passeggiando nel giardino archeologico, si possono ammirare una grande quantità di materiali epigrafici e architettonici di grandi dimensioni delle collezioni dell’ex Antiquarium Comunale, provenienti dagli scavi di Roma di fine Ottocento, soprattutto sull’Esquilino, Quirinale e Viminale: colonne, capitelli, are dedicate a divinità, soffitti marmorei, sepolcri, rilievi, cippi sepolcrali, di delimitazione del Tevere o di indicazione di aree di pertinenza degli acquedotti (foto in basso).
Emanuela Teta
Da La Gazzetta della Capitale n.9/2024